lunedì 25 ottobre 2010
Bang.
venerdì 22 ottobre 2010
Lettera
A te potrei chiedere
come stai
anche se lo so
che come me
non stai mai bene
e neanche male
Hai le tue forbici
le tue chimere
e ti salvi abbastanza
senza mai farla franca
Invece per te
vorrei piangere un po’
ma se hai capito
anche solo un millesimo di quest’anima
saprai già perfettamente
che non ne sono capace
Poi, in fondo,
a chiedere scusa
non è che cambi qualcosa
ed è abbastanza tardi
per continuare a lasciarsi scorrere addosso
qualcosa che non esiste
A te invece
amico mio
che aspetti un sogno
che vada in porto
senza sudare
e mi chiedi parole, comprensione
Spiacente
il fabbricante di parole ha chiuso
e sul capirci
credo sia il caso
di provarci la prossima vita
Tu che ridi
e sembra che ti basti così
voglio provarci anch’io
Facciamo che qualche volta
mi insegni a giocare di più
ti va?
Poi per te
che ti appaghi di te stessa
o ci provi
Non è che il mondo giri così
perlomeno da qui non sembra
Certo se ti riesce
di riuscire meglio
non potrò mai dire di essere d’accordo
ma saprò farti i miei complimenti
Per ogni guerra
ad un passo, ogni giorno
che non vediamo
Per ogni masturbazione
più o meno mentale
e per ogni solitudine
Per tutta questa vita
fottuta e benedetta
saluti da qui dentro
non saprei se distinti
Il nome forse è meglio
che lo scriviate voi
Non mi ucciderà.
la strada che diviene
un intreccio di linee
pennellate distratte
violente e delicate
mentre il vento ti attraversa
ancora più distratto
e non hai neanche un momento
per trasformarlo in fiato
perdendo la consapevolezza
di avere delle gambe
proteso verso un appiglio indefinito
forse il posto che chiamo casa
non l’ho mai sentito
appartenermi così tanto
e corro
corriamo
col sangue che brucia
e la pioggia non lo bagna
la pioggia è uno scarabocchio
come la strada
come tutto al di fuori
del puro e semplice correre
è così che ci si dimentica di sé
o è così che ci si scopre reali?
non parole
non percezione
solo una dannata voglia
di non fermarmi
vorrei ricordarlo sempre
questo salto su un precipizio
che se lo guardi
il precipizio ti attraversa
vorrei ricordarlo ogni giorno
che considero un giorno sprecato
e non fermarmi
né fermarti, fratello
che a voltarsi
c’è quel dannato rumore
nell’aria confusa
scarabocchiata
come la pioggia
come la strada
nell’aria che i polmoni negano
che a voltarti
ci sono due occhi
due occhi, se ci pensi,
con tutte le altre cose
che fanno un uomo
né più né meno di noi
peccato che a noi tocchi correre
fino al muro per gridare “liberi”
fino al muro per sentire i brividi
di confine tra gioia e paura
oppure è una fortuna
che almeno noi corriamo
apro gli occhi
catturo un po’ di ossigeno
siamo stati il precipizio
il vento
scarabocchiati anche noi
indefiniti per un tempo infinito
che se l’infinito esiste
deve essere qualcosa di simile
ad un momento così
apro gli occhi
la pace è tachicardia
non ho un dio da ringraziare
per ora ringrazio la porta
alle mie spalle
che ritraccia il confine
tra me e quella pioggia pesante
quella pioggia malata
ogni cosa riprende i suoi contorni
lo sfumato e l’opaco
tornano forma e colore
scuro, ok,
ma comunque colore
mi guardo le mani
e penso, giurando,
per quel che si può
questa città
non mi ucciderà
questa città
non mi ucciderà