giovedì 28 luglio 2011

pioggia.

due bracciate di strada
con le scarpe pesanti
anche se scorro calmo
mi perdonerete

cerco qualcosa di dimenticato
in quei minuscoli spazi mobili
che vivono tanto in fretta
da non farci nemmeno caso

voi tendete la mani su sogni
per i quali si è ormai fatto tardi
le lancette stanno sui rimpianti
il rancore vi ha bruciato le tasche

non mi va quel gioco di riflessi
per mostrare le colpe degli altri
o legare i ricordi in un cerchio
intorno a dita da burattinai

se ci vengo nel centro è soltanto
per il gusto a spostarmi di lato
se ci vengo nel centro è soltanto
per il gusto a spostarmi di lato

martedì 26 luglio 2011

puoi riconoscermi?

tutto dorme in grembo
alla vita addormentata
per evitare il tempo
possiamo stare svegli
a ritrarci i volti
con i tratti distorti
per poi rinnegarli
strapparci o cancellarci
essere stanchi e speciali
nelle luci, il venerdì
tutti quanti lontani
da quei luoghi comuni
tutti così diversi
e veramente furbi
tanto da finirci sempre
tanto da abitarci dentro
chiederti come stai
per dirti come sto
e non sentire altro
che le mie parole
farmi del male, poi
per fare del male a te
come se fosse vero
come se tu esistessi
hai amato in cento occhi
occhi immaginari
non c'era differenza
e ogni volta aspettavi
di amare in altri giorni
istanti straordinari
com'erano unici
com'erano banali
ho solo queste mani
per poter sfiorare
l'infinita decadenza
e l'incoerenza del tuo stelo
ho solo queste mani
puoi riconoscermi?
puoi riconoscermi?
puoi riconoscermi?

lunedì 25 luglio 2011

ho solo mangiato troppo.

uomini in giacca e cravatta
rapinano straccioni
mentre taglio un'altra fetta
a questo pomeriggio innocuo

ho bevuto un sorso
della grazia del tuo dio
che ha donato la bellezza
al fragore delle bombe

narra ancora di Sodoma
narra ancora di Gomorra
strappa i figli e violenta
l'abominio della colpa

cento e cento le vite
per bussare ad una porta
e quando la fine canta
non c'è un cane che l'ascolta

ma tu rimani pure
crocifisso al tuo divano
lo squarcio si ricuce
ho solo mangiato troppo

e quando mangi troppo
non riesci più a pensare
che lo stupido è chi muore
digerisci con un amen

sabato 23 luglio 2011

Anch'io sono stato Frank Zappa per una frazione di secondo.


Sono nello spiazzale del parco Frank Zappa a Grottaminarda, il paese in cui sono cresciuto, per il Free Rock Festival, una rassegna di letteratura, gruppi emergenti e artigianato.
Mi guardo intorno da una sedia di fianco a un tavolo su cui stanno un po' di copie del mio libro.
A destra c'è lo stand di Delta 3, la casa editrice del posto.
Hanno esposto decine di nuove uscite. Guardarle mi dà, al solito, una strana sensazione.
Passando da pensieri come "siamo troppi" a "ma davvero, io cosa direi di diverso?" il timore sacrale verso il mostro della letteratura diventa vertigine. Per non pensarci estraggo un libro dallo zaino.
"... non avrebbe mai potuto capirmi perché a me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all'altra finché non precipito. Questa è la notte, e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione."
Dannato Kerouac, così non va mica meglio.

-Ehi, bello.

Una voce familiare, mi volto. Ci si volta anche quando non si è proprio belli. E' il mio amico Antonio che viene a farmi un po' di compagnia.
Parliamo del più e del meno, intanto uno degli espositori alla nostra sinistra mi chiama.

-Mi assento per un quarto d'ora, mi guarderesti le cose? Sai, se vengono i bambini.

Lui lavora il ferro, lo lavora davvero bene.
Ha esposto un grande crocifisso, un drago, una testa, delle sagome stilizzate. E il ritratto di Frank Zappa.
L'ha realizzato con una lastra di ferro sottile, incollando poi il lavoro finito ad un quadrato ritagliato da un sacco di tela marrone chiaro.
I bambini stanno giocando sulle giostre e sarebbe ironico se arrivassero adesso che è mia responsabilità tenere d'occhio i lavori.
Sarebbe così ironico che infatti arrivano, quasi subito.
Sono cinque, hanno l'aria vivacissima.

-Non toccate niente.

Due di loro guardano il ritratto di Frank Zappa e poi me.

-Ma sei tu questo?
-No, è Frank Zappa.
-Ah, è quello che ha fatto il parco.
-Gliel'hanno intitolato, era un musicista.
-Quindi stasera viene a suonare?
-Difficile.
-Ah, è morto.
-Sì.

Guardano ancora un po', si entusiasmano per il drago, poi vanno via. Uno voltandosi mi fa "però ti somiglia".
Il tramonto si muove pigro e fresco. Antonio ed io ridiamo.
Tra un po' verranno le persone che non vedo da tanto.
Piccoli mondi che egoisticamente percepisco immobili, ma che non lo sono mai.
Magari racconterò loro che per un istante, tra il tempo di assorbimento della domanda e quello di elaborazione della risposta, sono stato Frank Zappa.
Meno di un secondo, ma mica male.
In fin dei conti la relatività rende tutto possibile.
Intanto si alza il vento con l'odore delle prime salsicce arrostite, e lo stomaco brontola.
Forse non saranno fiori, ma pure questa è poesia.

mercoledì 20 luglio 2011

e vorrei

Hai gli occhi di catrame
Non ti volti
Tracci con le dita
l'ultimo confine
E' una densa inutile difesa
tanto fragile da non poter crollare
Puoi dirmi quanto segna la distanza
o un segno che non guardi non esiste?
Un altro gesto delle mani
un gesto immobile
adesso e sempre
cancella l'invisibile
Sulla tua banalità
la mia s'infrange
e vorrei
solo non perdere più niente
Nella quotidianità
uccidi promesse
Io vorrei
che mai nessuno andasse via

domenica 10 luglio 2011

ho visto

ho visto deviazioni
sulla strada maestra
insegnare molto meglio di lei
ho visto guerre pigre
combattute da formiche
raccolte intorno alle vetrine
e ho visto fiori bellissimi
diventare rampicanti
pur di non restare soli
e ho visto gli ultimi soli
sui tramonti di piombo
che non vivremo mai

il tavolo.


Si avvicina a passi svelti, si siede in prima fila.

Sembra un professore, la prima cosa che penso guardandolo è che sia un professore.

Noi siamo qui, coi libri sul tavolo, o il tavolo sotto i libri, dipende.

E dentro i libri le parole, i ricordi, solite cose. Intorno a noi amici, conoscenti e sconosciuti, poi un locale che si chiama Volver, e intorno al locale piazza Dante, poi Napoli, poi tanto altro mondo, un po’ visto un po’ sentito.

Siamo qui per un reading, cioè una lettura delle nostre cose. Però a dire reading sembra più importante.

Siamo qui per dire che ci piace esserci. Non è niente di nuovo, certo, ma ogni tanto è bene ribadirlo.

Personalmente se non lo dicessi credo che potrei dimenticarlo. O forse no, pure questo dipende.

Comunque ora c’è anche questo tipo che sta di fronte a noi – cioè a me e al mio amico Antonio – seduto, giacca abbinata ai pantaloni, camicia e cravatta.

Ha una composta scompostezza, un’eleganza aspra, non saprei descriverlo in un altro modo.

Fissa il mio amico Antonio, che ha appena finito di leggere una poesia tratta da Frantumi, la sua prima raccolta.

- Posso intervenire o dovete parlare solo voi?

Pone la domanda con cortesia rude, in un italiano senza particolari inflessioni.

Ricordo di quando da piccolo andavo in chiesa e mi veniva su una voglia pazzesca di fermare il prete per fargli qualche domanda.

E poi dei giorni in cui mi annoiavo a lezione, a scuola o all’università.

E poi di quei convegni idioti, che potevano essere interessantissimi ma restavano comunque idioti.

- Certo che può intervenire.

- Ecco, vorrei sapere… le cose che state leggendo sono scritte da voi o leggete cose di altri?

Guardo i fogli con le poesie inedite che ho in mano e poi la copertina del mio libro, A riprendere le stelle.

Mi passano davanti le persone per cui ho scritto, il contratto, firma paga e vendi, le presentazioni degli ultimi due anni, e gli ultimi due anni perché no, e penso che sì, sono le mie, e che questa sarà l’ultima lettura per molto tempo, che ho voglia di passare oltre.

Rispondiamo che sono tratte dalle nostre raccolte.

- Ecco… ma qual è il fine? C’è un messaggio? Qual è il messaggio?

Vedo i suoi capelli bianchi, la giacca, la cravatta, la camicia, quel modo di fare, ma soprattutto vedo gli occhi. Sì, gli occhi soprattutto.

Antonio resta interdetto e mi domanda cosa ha chiesto.

Glielo dico, poi rispondiamo che sì, c’è un messaggio.

Allora lui mi guarda.

- Ma secondo voi cosa resterà a questa gente? Cosa ricorderanno una volta usciti di qua? Ve lo dico io… niente! Tutto questo non serve a niente, usciranno e lo dimenticheranno!

A questo punto interviene il pubblico, mentre una parte di me pensa che quest’uomo non ha per niente torto.

Un mio amico gli dice che dopo ci sarà il dibattito, che ora ci deve lasciar proseguire.

Penso a Kundera, al suo L’insostenibile leggerezza dell’essere.

Penso a De André, al suo Non al denaro, non all’amore né al cielo.

Penso all’Antologia di Spoon River che mi aspetta sulla scrivania.

Penso a Hesse, a Fante, a Bukowski, a Pirandello, a Nietzsche e a Kant.

Penso che le domande arrivano così, che ti beccano nel fianco che lasci scoperto.

Immaginate di stare poggiati ad un tavolo. Viene un vostro amico e vi chiede “cos’è questo”. Voi rispondete che è un tavolo, è ovvio. Però.

Sì, è un tavolo. Però. Ecco, vi parte un però. Piccolo, dentro, scatta come una molla, un ingranaggio sconosciuto.

E’ come sentire qualcuno che urla da lontano e dover scegliere. Tendere le orecchie o tapparle.

Una volta scelto, una volta che la molla è scattata, se scatta, siete fregati.

Comunque sto andando troppo in là, torniamo al pubblico che interviene.

L’uomo si innervosisce, ci manda a cagare e si alza.

Mi viene da ridere, tanto.

Mi viene da ridere perché mi ha fottuto, perché ci ha tirato addosso la sua voce tagliente e una domanda per la quale non esiste risposta. E noi che proviamo a tagliare e rispondere, a distruggere e ricostruire, noi qui, siamo soltanto dei bambini. Come lui, come tutti.

E allora rido, perché magari la si può chiamare pazzia una cosa del genere, perché FA COMODO chiamarla pazzia.

E invece non è mai così semplice.

Antonio ha ripreso la lettura, mentre io ancora non riesco a trattenermi.

Poi quell’uomo torna indietro.

- Chiedo scusa per il tono, io vi auguro tutto il bene del mondo…

Qualcuno dal pubblico si volta verso di lui chiedendogli di smettere.

- Ah, ma stai zitta che non hai nemmeno la terza elementare… sapete che vi dico? Tanti auguri a voi e alle vostre STRONZATE.

E va via.

Sono così le domande che ti fregano, semplici, ti beccano al fianco che tanto non puoi coprire. Ti spogliano e poi si prendono gioco di te, che cerchi di coprirti alla meno peggio.

Sono la molla che scatta, se scatta, l’ingranaggio di cui il progettista non ricordava nulla.

E’ come stare poggiati ad un tavolo, e a un tratto viene un vostro amico e vi chiede “cos’è questo”.

Potete rispondere che è un tavolo. E avete ragione, lo è, avete perfettamente ragione.

Oppure potete essere sinceri, e dare quella che, forse, è la risposta più vera.

Non lo so.

sabato 2 luglio 2011

la vita degli altri

strappami le mani di carta
esprimi un desiderio
tappati le orecchie e canta
il tuo ritornello

è la vita degli altri
e per la vita degli altri
non ci sono riguardi
solamente centro e scarti

è la vita degli altri
e nella vita degli altri
sono così distanti
i destini che ora incastri


disegnami presente innocuo
insegnami il segreto
piangi quando sogni il buio
ma vietami di piangere

è la vita degli altri
e nella vita degli altri
non esistono i pazzi
fanno finta, sono falsi

è la vita degli altri
e per la vita degli altri
non ci sono promesse
non esistono rimorsi


è la vita degli altri
e per la vita degli altri
non bisogna voltarsi
lo spettacolo va avanti

è la vita degli altri
e nella vita degli altri
non bisogna fermarsi
si potrebbe fare tardi


strappami le mani di carta
esprimi un desiderio

lontano.


lontano dai concerti a pagamento ho trovato la musica, quella vera.
eppure continuerò a pagare.
lontano dalle dinamiche normali ho trovato l'amore non obbligato, l'amicizia non costretta.
eppure continuerò a controllare il cellulare.
lontano da me stesso ho trovato quel che non c'è da dire, che è l'unica cosa da dire davvero.
eppure continuerò a scrivere, a parlare, a cercare di spiegare.
lontano dall'imprenditorialità editoriale ho trovato la luce del non pretendere.
eppure continuerò ad aspettare, fino a quando non ci sarà una quota di partecipazione anche per esprimere un'idea.

il mondo è solo una traccia.
la segno su un quaderno che non ho.
il resto è la vita, e scorre.